Ce ne siamo accorti tutti. Addetti ai lavori e non. Basta passeggiare per il centro di qualsiasi città italiana e dare un’occhiata alle insegne dei negozi. I posti più belli, gli stabili più prestigiosi, i punti più suggestivi, monopolizzati da un pugno di brand multinazionali che si contendono, a colpi di decine di migliaia di euro di affitti, i locali di quelli che un tempo erano signorili negozi multi- marche, capaci di dare con le loro vetrine, sempre perfette e diverse, lustro e fascino a tutta la zona. Quelle vetrine che i cambi di stagione te li facevano vivere davvero e rendevano il Natale più Natale. Multinazionali cannibali di scrigni di ricordi quali negozi e negozietti, prestigiosi cinema, teatri, sale da the, grandi magazzini multibrand, ormai irrimediabilmente sepolti sotto un mare di capi d’abbigliamento di discutibilissima fattura, made in mondi lontanissimi dove l’etica e il rispetto del lavoro sono valori pressochè sconosciuti. Non sono un nostalgico nè tantomeno un anziano brontolone. Sono piacevolmente immerso nelle funzionalità di una cultura digitale di cui sono inequivocabilmente parte, Ma così come accetto con entusiamo l’innovazione e la forza delle nuove idee, ritengo l’omologazione un assassinio della vivacità, un dispenser di tristezza e di noia. Quella tristezza che i più ormai provano a passeggiare sui Corsi dei centri abitati. Da Palermo a Bolzano stesse insegne, stessi marchi, la noia assoluta. Nessun guizzo di artigianalità e di esclusività che caratterizzi ogni città. Il rullo compressore di marchi osannati da pletore di ragazzini e mamme troppo smart, accomunati da una diseducazione alla classe e all’eleganza, non hanno esitato ad approfittare delle congiunture sfavorevoli per prendere il posto di migliaia di attività grandi e piccole dove era possibile trovare e portarsi a casa il capo o l’oggetto novità e di buona fattura, anche per chi aveva budget ridotti. In troppi parlano dei vantaggi della globalizzazione e da troppi pulpiti si omette di confessare che la globalizzazione per un Paese come il nostro, unico al mondo per creatività, varietà e artigianalità, è una trappola mortale se non gestita con cura ed attenzione. Quello che è successo è che lo Stato fidandosi eccessivamente del libero mercato non ha tutelato quel piccolo negozietto di sciarpe e cappelli, opere d’arte provenienti da più fabrichette, eccellenze di nicchia, dietro le quali c’era tutto il genio e la voglia di creare di gente capace e che ci credeva, Forse non si potrà fare più nulla ma riflettere sull’opportunità di rispolverare sentimenti come l’indignazione e la protesta quello sicuramente si può. Anzi si deve.
Domenico Scardino