Sanremo 2025 l’ha vinto un 23enne con la r moscia. Perchè se l’è meritato, perchè il pezzo è da podio di Sanremo, perchè è un brano potente cantato da uno che ha la faccia mixata tra quella di un bravo ragazzo e quella di un rapper maledetto che si presenta alla finale con il look di chi sta per togliersi la camicia. Ma la motivazione principale per la quale Olly ha vinto è perchè quest’anno attaccate agli schermi tv c’erano due generazioni che hanno votato ( o hanno costretto i genitori a votare per loro se minorenni) decretando la sua vittoria e la classifica: la generazione zeta e la generazione alpha che hanno apprezzato tantissimo Giorgia ma che, per questioni ovvie, hanno preferito un idolo più vicino a loro, riconoscibile anche nel testo. Ed è stato più vicino al loro mondo, alla loro visione Lucio Corsi, interprete di una profetica “Vita da Carlo”. Discorso analogo in termini generazionali ovviamente ribaltato verso la generzione Y o dei Millennial, il piazzamento di Brunori Sas, sostenuto peraltro dal televoto dell’intera Calabria.
Sulla scorta di un voto dalla connotazione “generazionale”, anche fra gli addetti ai lavori appartenenti al mondo delle radio o del web, non può stupire la collocazione in classifica finale del trio pazzesco Giorgia, Lauro, Cristicchi la cui esclusione dal podio ha indignato non pochi. La solita eppur sempre nuova enormità di Giorgia che, nonostante tu possa conoscere tutte le scale o le tonalità, ti sorprende con un semitono mai sentitio o la devastazione emotiva di un Simone Cristicchi che arriva all’anima come una pallottola o di un Achille Lauro strepitoso, hanno dovuto fare i conti con un mondo nuovo e ai cantanti più vicini ad esso.
Contenti per il dodicesimo posto di Elodie perchè con quella esternazione su Giorgia Meloni non solo è caduta nella trappola comunicativa di un perfido Enrico Lucci ma è apparsa come un’autorevole esponente di una parte di mondo dello spettacolo, della televisione, del giornalismo (o pseudo tale vista la bassezza del livello raggiunto da taluni esponenti dell’informazione) che in qualsiasi contesto, e quello della sala conferenze dell’Ariston era sicuramente il meno opportuno, non perdono occasione per manifestare non la loro opinione politica, che sarebbe cosa legittimissima, ma il loro astio e il loro odio sociale verso l’avversario che trasformano in nemico dando, soprattutto ai giovani, pessime lezioni di cattivissimi maestri.
Un presentatore di nome Carlo Conti Conti ha posto un sigillo di successo con la sua signorilità e le sue scelte artistiche su un Festival che ha polverizzato tutti i record di audience avvicinando generazioni in nome della sobrietà e della serenità, al netto dell’odio politico travestito da satira che ha reso piccola Geppy Cucciari dinnanzi ad un maestro assoluto dello sfottò politico quale si è confermato essere l’oscar Roberto Benigni.
Un altro festival rispetto agli eccessi del bacio con lingua di Rosa Chemical e Fedez. Saremo pure tradizionalisti, ma noi preferiamo l’Italia di questo Sanremo: più sobria e serena che è riuscita a silenziare per una settimana una televisione e un giornalismo ormai di qualità pessima, ossessivo e preoccupante. Troppo.
Domenico Scardino
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